“Siamo uomini o caporali?”: quando l’umanità di Totò mise a nudo la vile natura dei piccoli uomini di potere
In ogni ambiente (dalla scuola alle fabbriche, passando per le università o le forze dell’ordine), a prescindere dallo storytelling, esistono “caporali” che fanno pesare la propria autorità data dalla legge, ma che spesso disconoscono fratellanza e umanità, che dovrebbero essere insite in ognuno di noi

“Siamo uomini o caporali?”: quando l’umanità di Totò mise a nudo la vile natura dei piccoli uomini di potere
In ogni ambiente (dalla scuola alle fabbriche, passando per le università o le forze dell’ordine), a prescindere dallo storytelling, esistono “caporali” che fanno pesare la propria autorità data dalla legge, ma che spesso disconoscono fratellanza e umanità, che dovrebbero essere insite in ognuno di noi

Paolo Stoppa e Totò nel film <em>Siamo uomini o caporali?</em> di Camillo Mastrocinque (1955)
Paolo Stoppa, Franca Faldini e Totò nel film Siamo uomini o caporali? di Camillo Mastrocinque (1955)

Di Francesco Carini

 

«L’umanità io l’ho divisa in due categorie: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, la minoranza. […] A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera».
(Totò Esposito in Siamo uomini o caporali?, di Camillo Mastrocinque, 1955)

Il 15 febbraio di 123 anni fa nasceva Antonio de Curtis, in arte Totò, mentre correva il 1955 quando uscì questo piccolo capolavoro diretto da Camillo Mastrocinque, il cui soggetto fu ideato e scritto dallo stesso Totò. L’artista partenopeo, conosciuto per i suoi ruoli comici, in tale pellicola ha rappresentato una sorta di mix fra: una vittima, un Pierrot e un Deus ex machina capace di squarciare il velo di ipocrisia sulla natura dell’uomo, in grado di divenire carnefice se ricoperto di un ruolo di potere, non solo in ambito militare.

Nel 2014 è stato pubblicato un libro di Salvatore Cianciabella, intitolato Siamo uomini e caporali – Psicologia della disobbedienza, nel quale l’autore prende in considerazione anche altre pellicole in cui ha recitato Totò, come: Totò Diabolicus, Guardie e ladri, Totòtruffa o Totò all’inferno. Oltre alle suddette analisi e alla nota introduttiva di Liliana de Curtis (figlia di Totò), risalta subito la prefazione del prof. Philip Zimbardo, esperto di fama internazionale in psicologia sociale e già docente presso l’Università di Stanford. Nello stesso spazio, Zimbardo fa riferimento al suo celebre esperimento di Stanford, a cui, quasi 50 anni fa, 24 ragazzi (all’incirca ventenni) furono sottoposti sotto compenso di 15 dollari al giorno. Alcuni avrebbero rappresentato dei detenuti, altri delle guardie, che si davano il cambio durante la giornata. L’esperimento sarebbe dovuto durare 2 settimane, ma dopo 6 giorni fu interrotto per gravi conseguenze sui soggetti esaminati, con i carcerieri che svilupparono tendenze “sadiche” e pratiche a dir poco aggressive e persecutorie sui carcerati (nel 2015 è uscito anche il film Effetto Lucifero, di Patrick Alvarez, il cui titolo è proprio ispirato al processo descritto da Zimbardo).
A tal proposito, lo stesso ricercatore sottolinea nella prefazione del volume di Cianciabella:

«Le organizzazioni sia pubbliche che private, poiché operano all’interno di un contesto giuridico e non etico, possono causare sofferenza alle persone, e persino determinarne la morte, attenendosi alla fredda razionalità per realizzare gli obiettivi della propria ideologia, un progetto più ampio, un’equazione costi/benefici o un risultato di profitto. In tali casi, i loro fini giustificano sempre l’impiego di mezzi efficienti».

Effettivamente, molte volte si sente dire: «sono un professionista!», oppure: «ho fatto solo il mio dovere… Ho soltanto obbedito agli ordini ed eseguito quanto riportato nella circolare X». Nonostante spesso si tratti solo di normale lavoro da portare a termine, sono tutte frasi che possono denotare in primis una mancanza di spirito critico, ma potrebbe appunto costituire soltanto un primo step, dietro cui si può nascondere ben altro, cioè il fatto che persone apparentemente incapaci di fare del male, se inserite in determinati contesti, possono perpetrarlo perché “costrette” o protette dal sistema in cui esse operano. Ovviamente, chi maggiormente subisce questo stato di cose sono coloro i quali si trovano in stato di subordinazione. Quasi tutti sono sottoposti al controllo di qualcuno, ma chi si trova più in basso nella piramide sociale e quindi subisce in particolar modo gli effetti delle disuguaglianze economiche e sociali, sviluppa spesso un meccanismo di sopportazione, identificabile in dialetto siciliano con il detto “caliti iuncu chi passi a china”, traducibile con “piegati giunco finché non passa la piena”. Ma questa “piena” rappresentata dalla diseguaglianza difficilmente passerà. Ci potrà essere un miglioramento, ma sarà impossibile distruggere un sistema sedimentato nei millenni, il cui peso grava soprattutto sulle spalle di chi non conta nulla o quasi:

«Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza mai vedere un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama».
(Totò Esposito in Siamo uomini o caporali?, di Camillo Mastrocinque, 1955)

In questo film, De Curtis (Totò Esposito), racconta in flashback a un medico psichiatra, le vicende che lo hanno visto coinvolto davanti a sei superiori (interpretati in modo straordinario da Paolo Stoppa), i quali, in un modo o nell’altro, tenderanno a punirlo o a danneggiarlo, senza che lui ci possa fare nulla, nonostante una sua opposizione eroica quanto apparentemente “inutile”, ma che serve sicuramente a sensibilizzare lo spettatore sul male perpetrato attraverso le diseguaglianze.
In ordine, Stoppa interpreta: il capo comparsa Meniconi, un “gerarca” fascista, un colonnello nazista, il colonnello americano Mr Black, il direttore di una testata giornalistica e un imprenditore lombardo, che alla fine del film gli porterà via Sonia (Fiorella Mari), l’unica persona a cui teneva davvero.

Ognuno, a modo suo, lo maltratta, umiliandolo o tentando di distruggerlo, con un apparato di potere e di controllo ostile che giganteggia sopra di lui. Viene ostentata la miseria umana, con il capo comparsa fiero del suo ruolo “dittatoriale” sui sottoposti, servile con i superiori e viscido con una povera e sprovveduta aspirante attrice, a cui promette di far fare carriera. Medesima cosa capita con il militare americano, che cerca di utilizzare la sua posizione per circuire la stessa Sonia. Il fascista e il nazista, nonostante comuni appartenenze politiche, hanno livelli di importanza differenti, ma uguali funzioni di controllo. Sia il primo che il secondo puntano a mantenere ordine e disciplina. Il fascista italiano lo fa davanti a una coda di affamati che attendono la distribuzione di viveri, con Totò che si arrangia tramite piccoli espedienti a fare la fila per persone che glielo chiedono sotto compenso, cercando di eludere la sua sorveglianza; mentre il nazista tedesco (colonnello Hammler) lo fa in un lager, minacciando di punire chiunque tenterà di prelevare viveri destinati ai soldati tedeschi. Proprio nel campo di concentramento, Hammler si becca una pernacchia in seguito a cui lo stesso Totò verrà condannato a morte, salvo riuscire a scamparvi per un insieme di circostanze a dir poco fortuite riconducibili a un fantasioso esperimento di cui era la cavia.

«I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati della loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza, ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque».
(Totò Esposito in Siamo uomini o caporali?, di Camillo Mastrocinque, 1955)

Totò nel film <em>Siamo uomini o caporali?</em> di Camillo Mastrocinque (1955)
Totò nel film Siamo uomini o caporali? di Camillo Mastrocinque (1955)

Ma, nonostante la critica connessa all’ambito militare, forse lo sdegno maggiormente suscitato nei confronti dei caporali lo troviamo legato alla figura del direttore della rivista Ieri, oggi, domani, che circuirà Totò facendogli firmare al buio, sotto compenso, un memoriale in base a cui dichiara di essere testimone di un delitto al quale invece non ha mai assistito. Dopo averlo scoperto, il protagonista andrà a denunciare tutto al commissariato, ma il direttore, circondato da altri cinque collaboratori che accuseranno Totò, farà in modo che il pover’uomo venga condannato per: truffa con raggiro, millantato credito, abuso di fiducia e appropriazione indebita. Il commissario, schiavo delle apparenze non farà quasi parlare l’Esposito, che, demoralizzato, accetterà le accuse e di conseguenza la condanna, finendo per raccontare tutto allo psichiatra che lo aveva in cura, il quale converrà con lui che sarà sempre la stessa storia, almeno finché ci saranno sulla terra gli uomini e i caporali (nella figura del direttore, per alcuni versi è possibile rivedere quella di Giancarlo Bizanti, interpretato da Gian Maria Volonté in Sbatti il mostro in prima pagina).

Pertanto, in una società in cui l’uso smodato della gerarchia porta ad imbruttire tanto gli ambienti di lavoro quanto le scuole (luogo in cui invece si dovrebbero formare le future generazioni contro bullismo e altri fenomeni affini), dove lo schierarsi con il potente di turno conduce a una guerra fra poveri (nella quale non esiste il principio di colleganza e si assiste invece spesso a fenomeni quali mobbing, diffamazione e calunnia, pur di allinearsi con i caporali e trarre vantaggio di qualsiasi tipo), questa piccola perla degli anni ’50 ci fa ancora riflettere su quanto sia essenziale lottare contro le diseguaglianze non solo a parole, ma andando anche contro la stessa vile natura umana, capace di vendersi o scatenare il proprio sadismo contro il più debole e l’indifeso, invece di prendere posizioni in grado di ribaltare situazioni in cui il potere dei singoli o dei pochi viene esercitato impunemente e immoralmente su gruppi o sulla collettività, costretta alla tacita sottomissione per fredde regole che non tengono conto del contesto in cui vengono applicate e con una legalità ad orologeria, che può interessare qualunque settore o ufficio.

Il rispetto delle regole è importante per mantenere coesa la società, ma solo fino a quando determinate regole non ledono i principi cardine della fratellanza, della libertà e dell’uguaglianza, a quel punto dovrebbe essere dovere del cittadino dotato di ragione e amor proprio reagire impugnando tutti i mezzi messi a disposizione della legge per richiedere un sistema realmente democratico, non solo a parole e soprattutto senza: «l’eccesso di zelo di chi ha scarsa indipendenza morale» (citando Ugo Tognazzi nel film In nome del popolo italiano, di Dino Risi).

Anche se la situazione è totalmente differente rispetto a quelle descritte nel film di Mastrocinque, è utile riportare un estratto del film L’Amerikano (1972) di Costa-Gavras, sceneggiato da Franco Solinas, rivolta all’agente Philip Santore (interpretato da Yves Montand), di cui non è accettabile il contesto in cui si svolge, ma che può essere utile a comprendere uno dei meccanismi che regola la nostra società e che riproduce lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo:

Tupamaro: «Noi crediamo negli uomini signor Santore, nel loro diritto all’uguaglianza, nella loro necessità e possibilità di organizzarsi in una società più giusta, più felice».

Santore: «Ma anch’io credo in tutte queste cose…».

Tupamaro: «No, lei non ci crede. Lei accetta l’ineguaglianza e difende i privilegi. In fondo è nella proprietà che lei crede. Il suo ordine morale è lo sfruttamento, nient’altro che lo sfruttamento».

Santore: «Lo sfruttamento… Che parolona, perché? Che ci guadagno io sul piano personale?».

Tupamaro: «L’illusione di essere anche lei un padrone invece di quello che è: un servo».

 

15/02/2021 – © Francesco Carini – tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale.

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