Stress e “Sindrome del cuore infranto”: binomio pericoloso
Si può morire di stress e di dispiacere? La sindrome del “cuore infranto” può causare gravi limitazioni a chi ne è affetto, fino ad ucciderlo
Fonte: blog Homo Sum di Francesco Carini – Linkiesta.it – 30/12/2017
Anche se considerata una malattia rara data la sua incidenza di 1 caso su 36.000, con una maggiore diffusione fra pazienti di sesso femminile (con un rapporto indicativo di 1:6 rispetto a quello maschile), qualche anno fa è “salita alla ribalta” anche in Europa la cardiomiopatia di Takotsubo. Chiamata sindrome dal cuore infranto, con i primi studi effettuati in Giappone ad inizio anni ’90, prende il nome dall’attrezzo a forma di cestello usato nel Sol Levante per pescare i polpi, sembianza parzialmente assunta (visibile tramite RM o ecocardiogramma) dal ventricolo sinistro in concomitanza all’insorgere di tale patologia (che corrisponde chiaramente a una disfunzione sistolica).
I sintomi vanno dal dolore toracico alla dispnea, ad altri in comune con l’infarto. Se curata tempestivamente, può non arrecare danni permanenti, con una completa regressione nel 90% circa dei casi in un follow up di 7 anni, ma potrebbe risultare letale quando non viene diagnosticata in tempo.
Le sue cause non sono state definite con certezza, ma è stato riscontrato nell’anamnesi della maggior parte dei pazienti un periodo prolungato di stress emotivo, causa di un’iperattivazione del sistema simpatico, che porta anche a un cosiddetto “stordimento” del miocardio.
Riguardo l’importante ruolo coperto dallo stress, uno studio realizzato nel 2005 dal dottor Wittenstein e pubblicato sul The New England Journal of Medicine, conferma che su 20 pazienti, 13 ricoverati per cardiomiopatia di Takotsubo e 7 per infarto miocardico acuto, nei primi i livelli di catecolamine (es. adrenalina e dopamina) erano ben più alti rispetto ai secondi, numero che suggerisce quanto un forte scarico emotivo prolungato possa influire sull’insorgere della sindrome, dato presente a sua volta in uno studio del dottor Ueyama (pubblicato nel 1999 sull’American Journal of Physiology), in cui la somministrazione di una sostanza adrenobloccante a ratti sottoposti a stress da immobilizzazione attenuava una disfunzione ventricolare molto simile a quella prodotta nella cardiomiopatia di Takotsubo.
A tal proposito, il prof. Salvatore Novo, primario del reparto di cardiologia del policlinico Giaccone di Palermo ed esperto di patologie cardiovascolari (oltre ad essere stato fra i pionieri in Italia nello studio della suddetta sindrome), fa una disamina riguardo la malattia in questione.
Salve professore, quanti casi di sindrome di Takotsubo ha avuto modo di analizzare nella sua carriera?
Ci sono stati 85 casi analizzati in prima persona e 371 dall’Italian Takotsubo Network, del quale facciamo parte noi dell’Università di Palermo, insieme ad altri atenei italiani.
Ci sono giovani fra i pazienti? Qual’è l’età media nella casistica da lei analizzata?
Ci sono anche giovani, tuttavia fra i pazienti sono comprese perlopiù persone di età matura o anziani (65 – 75 anni), con una maggiore prevalenza per il sesso femminile.
È una patologia rara o sotto-diagnosticata?
In paragone con le sindromi coronariche acute con le quali all’esordio bisogna porre la diagnosi differenziale, sono poco frequenti.
Tuttavia, da alcuni anni la patologia si conosce meglio e quindi i casi tendono ad aumentare. Ricordo che il nostro gruppo ha presentato i primi due casi nel 2002 al Congresso di Cardiologia Regionale della Società Italiana di Cardiologia a Messina, dove sono stati presentati i primi casi italiani (con lo studio pubblicato successivamente sul Giornale Italiano di Cardiologia nel 2004). Attualmente la sindrome di Takotsubo rappresenta circa il 2% delle sindromi coronariche acute.
Come si diagnostica? Quali sono i tratti caratteristici della patologia?
La diagnosi di certezza si fa sui seguenti dati:
1) clinico, ossia esordio come una sindrome coronarica acuta sia per il dolore toracico che per le manifestazioni elettrocardiografiche, con sopra-slivellamento del segmento ST, ma con un incremento di troponina 5 o 10 volte inferiore rispetto alla sindrome coronarica acuta e comunque sproporzionatamente basso rispetto alla entità dell’ipocinesia ventricolare;
2) il dato ecocardiografico dell’Apical Ballooning, ossia ipocinesia apicale o medio-ventricolare con ipercinesia basale, così da far somigliare la forma del ventricolo sinistro all’ecocardiogramma al “takotsubo” che i giapponesi utilizzano per la pesca del polpo. Tali modificazioni sono rapidamente comunque reversibili;
3) assenza di lesioni stenosanti significative alla coronarografia.
In che modo lo stress agisce sull’insorgere della sindrome?
Il più delle volte è lo stress a scatenare la sindrome: un forte dispiacere, la morte di una persona cara, una lite, uno scatto di ira.
Lo stress provocherebbe una tempesta catecolaminergica, con vasocostrizione temporanea del microcircolo coronarico e “stunning” (o stordimento) del miocardio, che successivamente recupererebbe in tempi relativamente rapidi la propria funzione, comunque generalmente entro tre mesi.
È mortale? O comunque può causare strascichi invalidanti?
Generalmente la prognosi è favorevole, anche se ci sono percentuali di mortalità variabili dall’1 all’8% in differenti casistiche internazionali. Generalmente la funzione miocardica recupera completamente in pochi mesi e non ci sono strascichi invalidanti. Tuttavia possono aversi recidive: abbiamo casi con due o tre recidive.
Quali sono le cure adatte?
Non occorre praticare né angioplastica né trombolisi. Si adopera la terapia medica con cui normalmente viene trattata la cardiopatia ischemica, in quanto al momento non esistono trial clinici randomizzati sul trattamento di questa patologia.
La sindrome di Takotsubo si correla ad altre malattie?
Può correlarsi a: tireotossicosi, interventi chirurgici impegnativi e sindrome ansioso-depressiva.
A prescindere dal fatto che la suddetta malattia presa in questione sia considerata rara, probabilmente le istituzioni dovrebbero ragionare su un livello più macro, analizzando l’incremento generale di persone affette da diffuse patologie stress-correlate (anche cardio-vascolari) attraverso più variabili legate alla società in cui viviamo.
Nel saggio del prof. Roberto Beneduce (Università degli Studi di Torino) Illusioni e violenza della diagnosi psichiatrica, l’antropologa lettone Vieda Skultans ha illustrato come le trasformazioni della psichiatria abbiano seguito a ruota il mercato con sindromi legate all’ansia e ad altri sintomi, in diretta corrispondenza con gli ostacoli sociali e le difficoltà economiche.
E in un contesto in cui più di 12 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure per motivi economici (dati Censis risalenti a giugno 2017), ci si dovrebbe interrogare maggiormente su quanto lo stress e l’incremento di disturbi psichici, spesso causa di conseguenze sotto il profilo fisico, possa essere contenuto con politiche atte a limitare gravi disuguaglianze e condizioni di povertà che si ripercuotono negativamente in primis sulla salute dei cittadini, vero capitale di una nazione.