Violenza psicologica: pericolo sociale per le donne e non solo
Legata alla comunicazione verbale e non verbale, la violenza psicologica può essere pericolosa quanto quella fisica. Riconoscerla in tempo è fondamentale

Violenza psicologica: pericolo sociale per le donne e non solo
Legata alla comunicazione verbale e non verbale, la violenza psicologica può essere pericolosa quanto quella fisica. Riconoscerla in tempo è fondamentale

violenza fisica e psicologica
di Francesco Carini

La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci
Isac Asimov

Fonte: blog Homo Sum di Francesco Carini – Linkiesta.it – 26/11/2017

Ieri, 25 novembre è stato il giorno contro la violenza sulle donne, che ogni anno produce centinaia di morti. Se nel 2016, le vittime uccise oltralpe sono state 123, nel nostro paese c’è una situazione simile con 120 casi. Numeri molto importanti, che dovrebbero essere guardati con un’attenzione particolare ed ampliati, dal momento che, per un femminicidio ogni 3 giorni circa, sono parecchie migliaia le vittime di stalking e di violenza psicologica.
Oltre alle maledette percosse e alle conseguenze sotto il profilo fisico, sia in ambito domestico che professionale si possono sviluppare pericolosi atteggiamenti disfunzionali connessi alla comunicazione verbale e non verbale, che, in molti casi precedono le aggressioni fisiche, ma comunque determinano tremende conseguenze, soprattutto se protratte sul medio e sul lungo periodo.

Con elementi che potrebbero essere in comune con il mobbing (e quindi universali e indipendentemente dal genere), con ripetuti svilimenti, offese dirette o più o meno celate (soprattutto in privato, ma anche in pubblico), derisione e disprezzo gratuito, la vittima viene distrutta internamente, e la sua vita sottoposta ad un altissimo livello di stress visto che nella migliore delle ipotesi la situazione non è ben compresa da chi le sta intorno, oppure una condizione di omertà non permette ad altri di vedere o aiutarla a denunciare il fatto.
La psicoterapeuta Cinzia Sintini, in un articolo pubblicato sul sito dell’associazione “Linea Rosa”, ha scritto:

«La violenza psicologica è una violenza oggettiva, chi subisce aggressione psichica è sottoposto ad un evento traumatico, chi è sottoposto a violenza psicologica si trova in uno stato di stress permanente […]. Il problema relativo alla violenza psicologica, infatti, è relativo al riconoscimento di essa, alla consapevolezza di esservi sottoposti».

Questo rappresenta il più grosso ostacolo per la vittima. Cominciare a dubitare della propria percezione può diventare un giogo, sia ai fini dello spezzare questa catena e successivamente del denunciarla. Come nel caso del mobbing (e per alcuni versi dello straining), continue pressioni esercitate con “cortesia” in pubblico, i silenzi accusatori, la conseguente e sistematica derisione per le azioni compiute rientrano spesso in tattiche con l’obiettivo più o meno conscio di distruggere la vittima psicologicamente, rendendola inerme.
Di conseguenza, in un momento di precarietà come quello che sta vivendo la società sotto il profilo economico e sociale, con tutte le conseguenze psicologiche che questo può comportare, tali forme di maltrattamento possono risultare letali e sono da combattere ad ogni costo. La violenza sulle donne è davvero uno fra i cancri da estirpare, ma renderla selettiva sulla base del genere o del semplice rapporto di coppia può essere limitativo, poiché il problema di base è la violenza in sé stessa e la disfunzionalità che si può venire a creare in rapporti verticali o orizzontali.

Prendendo ad esempio il mobbing nella sua versione più gerarchica, il bossing, la difficoltà più grande è dimostrare le molestie e le umiliazioni subite per il timore da parte dei colleghi a vedersi sottoposti allo stesso trattamento. In quello orizzontale, spesso l’invidia o la paura di perdere il posto (si potrebbero fare anche altri esempi) può condurre gli stessi compagni di lavoro ad accuse infamanti che risultano poi deleterie per l’immagine sociale della vittima oppure a comportamenti di gruppo volti a ridicolizzare e dequalificare le capacità di quest’ultima. Ecco, questo può produrre una continua situazione di stress prolungato che ha in comune con la violenza psicologica subita in contesti familiari devastanti conseguenze sotto il profilo fisico e psichico, che, in alcuni casi limite (seguendo la teoria dei 4 stadi di Leymann), potrebbe condurre al suicidio.

Pertanto, il dramma vero e proprio consiste nella violenza insita all’interno dell’essere umano, che si viene a scatenare nei confronti del più debole (a prescindere dalle capacità, che nella vittima sono spesso superiori al “carnefice”) secondo una forma estrema di darwinismo sociale e crescente accanimento presente in particolare fra adolescenti, compagni di scuola, ma anche fra adulti e in modo esponenziale nel web, fenomeno in quest’ultimo caso conosciuto come cyberbullismo.

La violenza è l’uomo che ricrea sé stesso
Frantz Fanon

Social network come Facebook possono fungere loro malgrado da amplificatori per una spirale di attacchi e violenza verbale impressionanti, che trovano le vittime preferite fra le donne o fra i soggetti meno tutelati dal punto di vista sociale.

Le denunce dell’onorevole Boldrini risultano molto importanti, poiché le aggressioni o le ingiurie da parte di milioni di haters imbecilli, maniaci o da chi lo fa consapevolmente per colpire qualcuno in particolare, devono essere assolutamente arrestate, perché mai la violenza e simili istinti bestiali hanno avuto una cassa di risonanza più forte, nonostante abbiano sempre mietuto vittime.
Inoltre, educare contro la violenza significa anche educare contro la diseguaglianza e contro le ingiustizie, sia di genere che sociali, e questo richiede un impegno comune da parte di chi è stato storicamente sottomesso, “ammaestrato” a stare zitto e ad ingoiare bocconi amari per questioni di sussistenza o equilibrio (es. familiare). Vedere una figlia turbata e avvilita perché subisce molestie a lavoro dai superiori e dire di abbassare la testa facendo finta di nulla (come è purtroppo capitato in alcuni casi) per mantenere il posto, è una forma di omertà (seppur spesso determinata da drammatiche esigenze economiche).

Se si vuole un cambiamento e la fine della violenza sulle donne, si dovrebbe fare un ragionamento più ampio su quanto la società sia disposta a combattere culturalmente (a partire delle famiglie), a non scendere al compromesso e a smettere di pensare che la causa del maschilismo e delle violenze di genere siano sempre determinate dagli altri, perché accettare lo stato delle cose attuali è complicità. Fermare le aggressioni fisiche è il primo dovere, ed è altrettanto essenziale lottare affinché venga posto un argine agli abusi di ogni tipo nel rapporto superiore – sottoposto o dominatore – dominato, in qualsiasi contesto.

In questa generazione ci pentiremo non solo per le parole e per le azioni delle persone cattive, ma per lo spaventoso silenzio delle persone buone.
Martin Luther King

© Francesco Carini – tutti i diritti riservati

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