Credi nella famiglia “tradizionale”, soprattutto nella tua? Bene, ma non basta per essere una brava persona
Cinema e antropologia spiegano come ci siano altri tipi di famiglia (e di parentela) oltre quella “tradizionale”. Il legame di sangue non per forza è sinonimo di vero amore

La repressione, l’oppressione, la mancanza di libertà, il conformismo, l’ipocrisia, son tutti strutturati, maturati in seno alle famiglie, perché la famiglia è nata come una piccola difesa, un po’ meschina che fa l’uomo per difendersi dal terrore, dalla paura, dalla fame… È un meccanismo di difesa per cui l’uomo si crea una tana e nella tana fa quello che vuole: il padre opprime i figli ecc…
Detto questo, la famiglia è anche il covo delle cose più belle dell’umanità. Le due cose sono orrendamente inestricabili.
Pier Paolo Pasolini
La citazione riportata sopra è parte di un discorso più amplio fatto da Pier Paolo Pasolini il 21/09/1974 al programma Rai Donna donna. È importante sottolineare come la critica venga da un ragionamento ben preciso che vede nella famiglia, sin dalla preistoria, un nucleo creato per necessità alfine di difendersi dalle circostanze avverse del fato e dai pericoli che venivano dall’esterno. Mentre il secondo aspetto è legato all’affetto, straordinario cemento in virtù di cui le relazioni trascendono la pura convenienza. Certamente, in riferimento alla famiglia, si può intravedere nei due elementi sopracitati un binomio indissolubile, che spesso, soprattutto in paesi come il nostro in cui la qualità e il livello del welfare non è paragonabile a quello di paesi europei quali quelli scandinavi, costituisce anche una forma di ammortizzatore sociale che sopperisce alle mancanze dello Stato e a un mercato del lavoro che attualmente non garantisce un futuro sereno. Peraltro, il termine famiglia (in latino familia) è connesso a quello di famulus, trad. servitore (o all’antico italico faam, trad. di casa), proprio perché nell’antica Roma comprendeva anche i servi che vivevano nella stessa residenza del pater familias, ad indicare quanto la famiglia sia un concetto vasto la cui trattazione non può certamente essere esaurita in un articolo e ancor meno in una discussione da bar o da talk show pomeridiano.
Effettivamente, con la famiglia considerata in quanto unità fondamentale della società, secondo Hegel prima radice etica dello stato, si dovrebbe ragionare sulla sua funzione e la sua essenza. Il filosofo Herbert Marcuse nel suo L’autorità e la famiglia concepisce questa struttura come la base su cui si fonda il potere, economico, oltre che politico, che, tramite l’educazione imposta dal padre ha garantito un ordine sociale definito.
In Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola, Antonietta (interpretata da Sophia Loren), madre di 6 figli e moglie di un marito, piccolo borghese che la tradisce, fedelissimo del Duce, trova comprensione il 6 maggio 1938 in Gabriele (Marcello Mastroianni), ex radiocronista dell’EIAR licenziato per il suo orientamento sessuale. La storia si svolge in un’unica giornata, dove i due si conosceranno per caso, si confideranno e alla fine consumeranno un rapporto più che inatteso, prima che Gabriele venga prelevato dalle guardie per essere confinato in Sardegna, reo di essere omosessuale. In questo film, la Loren è la vittima di una società che vede la donna come “protettrice” del focolare domestico, ma al contempo succube di una struttura che la riduceva quasi a una schiava, costretta al ruolo di casalinga e procreatrice, bombardata da una propaganda asfissiante che non permetteva di vivere altra esistenza al di fuori della famiglia tradizionale, di quell’ordine che Gabriele definisce: «la virtù dei mediocri».
Ma cos’è la famiglia tradizionale? E soprattutto cos’è la tradizione?
Come si fa riferimento nel libro La Festa, del prof. Natale Spineto (Università degli studi di Torino), il significato di tradizione è connesso al latino tradere (trad. consegnare oltre). Quindi è qualcosa che viene tramandato nel tempo. Dall’altro lato, nell’introduzione del suo libro L’invenzione della tradizione, Eric Hobsbawm sostiene che qualsiasi tradizione, sia inventata che non, abbia come pretesa l’immutabilità nel tempo, fattore che garantisce:
«la coesione sociale, la legittimazione di un’istituzione o inculcare credenze, sistemi di valore e convenzioni di comportamento».
Nulla togliendo al fatto che la vita nasca dall’unione di un uomo con una donna, non significa che l’unico tipo di famiglia sia necessariamente costituita da uomo, donna e figli o altri parenti (cosa che differenzia la famiglia nucleare, definita attualmente tradizionale, da quella estesa, che rappresentava la tradizione in molte regioni almeno fino all’inizio del ‘900), proprio perché non può essere solo la convenzione ad assodare il reale affetto o l’amore che lega una o più persone conviventi sotto uno stesso tetto. Al medesimo modo, non è solo il sangue che stabilisce la purezza di un sentimento, che può essere più forte fra due non consanguinei rispetto a quello fra familiari/parenti uniti da legami di sangue (e pertanto dovuti soprattutto al caso, non scelti). Dunque non si può giudicare una persona semplicemente dall’attaccamento alla sua famiglia o meno.
Molti spietati mafiosi sono stati e sono devoti alle loro famiglie di sangue (oltre che all’organizzazione a cui sono affiliati), ma non significa che siano per questo motivo brave persone da ammirare.
Come ho già specificato nell’articolo La famiglia piccolo borghese al tempo della crisi, fra famiglia e familismo amorale c’è una bella differenza. Anche se si tratta di due concetti differenti, famiglia e parentela si uniscono spesso in un binomio inscindibile. Davanti a più casi in cui si parla di violenze domestiche fra familiari consanguinei, mi vengono in mente due splendide concezioni di parentela extranatale legate alla popolazione Trukese della Polinesia e agli Inuit della Groenlandia, conosciuti attraverso la lettura del saggio di Marshall Sahlins, La parentela cos’è e cosa non è. Citando lo scritto di Mac Marshall, Sahlins scrive che i primi definiscono fratello di canoa la persona con cui hanno condiviso una pericolosa esperienza in mare che ha messo a repentaglio la loro vita. Proprio in virtù di ciò, si sono ripromessi di «prendersi cura uno dell’altro […] e possibilmente di condividere la terra o altre risorse». Nel secondo caso, gli Inuit si definiscono atíit-sara, scegliendo di prendere lo stesso cognome dopo essere scampati a grossi rischi durante una caccia invernale nel mare gelato. Anche in tal caso, si tratta di una parentela scelta volontariamente, certamente non meno forte di una trovatasi per una serie di circostanze legate al destino, tutt’altro.
Maestro indiscusso nel racconto di difficili vicende familiari è il giapponese Kore’eda Hirokazu. Autore del capolavoro Father and son del 2013, (oltre che dei bellissimi Un affare di famiglia e Ritratto di famiglia con tempesta), il regista nipponico è riuscito a raccontare con classe come il legame di sangue e l’agiatezza economica non costituiscano i principali elementi che caratterizzano l’amore familiare.
Yudai Saiki (Lily Franky) rappresenta un padre cialtrone, ma che conquista il cuore dei figli (anche quello non di sangue), impersonando il lato più umano intrinseco in ognuno di noi, che magari può configurarlo come perdente, ma resta comunque in grado di toccare le corde più intime dell’essere umano, facendo sentire proprio la bellezza e il calore di ciò che dovrebbe essere insito in ogni nucleo. Vittime di uno scambio di neonati, due coppie di genitori, il cui tenore di vita è completamente diverso fra di loro, reagiscono alla notizia a sei anni dall’accaduto in modo differente. Se a Yudai e alla moglie quasi non importa di tenere il piccolo Keita (figlio di sangue) o Ryusei (il bambino cresciuto con loro), differente sarà per l’altro padre, Ryota, facoltoso architetto dedito alla carriera, che rimprovera alla moglie di non essersi accorta dello scambio e che non ha mai accettato il carattere remissivo di Keita, trovando la spiegazione a questo aspetto proprio nel sangue estraneo (in siciliano sangu straniu), che lo spinge a chiedere lo scambio fra i due bambini, dopo aver cercato di prendere l’affidamento di entrambi in virtù della sua posizione economica, insensibile davanti alla semplicità dell’altra famiglia, e caratterizzato dal fatto di «non perdere mai, che non sa cosa provano gli altri» (come gli rimprovererà Yudai), perfetto esempio della società a lui contemporanea, campione di produttività, preoccupato di rassicurare il suo capo che il suo rendimento non sarebbe calato per la novità a cui avrebbe dovuto far fronte.
Non farò lo spoiler del film, sperando che tutti possiate guardarlo, ma entrambi i bambini preferiranno quest’ultimo, proprio per il suo carattere, che magari non lo identifica come un vincente, ma sicuramente fa di lui un essere umano dotato di empatia che, davanti alla nuova realtà, non fa differenze fra figlio di sangue e quello cresciuto “per errore” da lui, rompendo i canoni degli elementi base della famiglia tradizionale, interpretata da Ryota, il cui padre cinicamente gli consiglierà:
«Ascolta, è il sangue. Per gli uomini, come i cavalli, è una questione di sangue. Più tempo passa e più lui finirà per somigliarti. E sempre di più Keita somiglierà a loro, a quelli che sono i suoi veri genitori. Non aspettare, sbrigati a restituirglielo. Fai lo scambio e chiudi per sempre con quella famiglia»
Lo stesso cineasta, in Un affare di famiglia, descrive come una bambina proveniente da un contesto abbastanza agiato, ma maltrattata, preferisca un nucleo di quelli definibili in gergo come “scappati di casa” (che vede co-protagonista Lily Franky), che la adottano illegalmente, mostrando nuovamente come il legame biologico sia uno dei fattori (certamente importante) che può legare due o più persone, ma non l’unico, in quanto il sentimento e il sincero affetto possono risultare ancora più forti fra non consanguinei, in famiglie non tradizionali…
Desidero chiudere con un altro caso citato dallo stesso Sahlins in La parentela cos’è e cosa non è, e riguarda i Maori, per cui la parentela è cosmologica, connessa a Padre Cielo (Rangi) e Madre Terra (Papa), e come tale comprensiva di tutto ciò che esiste nel creato, con una concezione della vita basata sul rispetto (non sul semplice possesso), di tutti gli elementi del creato, che fanno parte di un’unica realtà ontologica proveniente da due soli genitori e pertanto accomuna tutti potenzialmente in una sola famiglia.