Bambina “punita” perché i genitori non pagano la mensa. Cosa avrebbe pensato Gian Maria Volonté dell’Italia di oggi?

[…] Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri, più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime, perché essi saranno i tuoi migliori amici […]. Dalla lettera di Nicola Sacco al figlio Dante
92 anni fa Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti venivano condannati a morte per un omicidio mai commesso. Sempre il 9 aprile, ma di 86 anni fa, nasceva Gian Maria Volonté, uno fra i più grandi attori della storia del cinema, oltre ad aver rappresentato il prototipo dell’artista impegnato politicamente. La sua filmografia comprende titoli di importanza capitale per il cinema italiano e internazionale, molti dei quali con Elio Petri e Francesco Rosi come registi.
Da siciliano, resto ammaliato di fronte all’interpretazione del prof. Laurana in A ciascuno il suo, ma naturalmente non si possono dimenticare Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo modo o Cristo si è fermato a Eboli per citarne alcuni.
Comunque, in questo periodo di odio sociale, che è andato aumentando nel tempo fino ad apparire normale, mi sovviene Sacco e Vanzetti (1971) di Giuliano Montaldo. Nel film, Volonté interpreta la parte di Bartolomeo Vanzetti, vittima piemontese del razzismo nord-americano nei confronti degli italiani e dei pregiudizi verso gli anarchici, ruolo a lui congeniale, anche se 11 anni prima aveva invece interpretato il pugliese Nicola Sacco nello spettacolo teatrale di Mino Roli e Luciano Vincenzoni (dove, per ironia della sorte, l’attore Riccorda Cucciolla, futuro Nicola Sacco nell’opera di Montaldo, interpretava Celestino Madeiros). A parte questa curiosità, mi viene in mente parte del dialogo fra Vanzetti e il governatore del Massachusetts Fuller, in cui l’italiano dirà:
[…] Mendicare la vita per un tozzo di pane è violenza. La miseria, la fame a cui sono costretti milioni di uomini è violenza […].
In queste ore ha scandalizzato il caso della bambina lasciata a fine marzo a tonno e cracker perché i genitori, indigenti, non hanno potuto pagare la retta. Il sindaco si è giustificato dicendo che lo ha fatto per correttezza nei confronti delle altre famiglie che saldano regolarmente la quota. Praticamente, per dare l’esempio a mamma e papà, ha umiliato la bambina. Non intendo fare un discorso sul razzismo, ho già trattato ampiamente l’argomento in altri articoli. Qui la questione è diversa e interesserebbe eventualmente anche famiglie indigenti italiane. Si tratta semplicemente di umanità. Un comportamento del genere non è accettabile perché si sta inserendo in un discorso più ampio di applicazione di codici e regolamenti contro povera gente che riesce a malapena ad arrivare a fine mese, a prescindere dal caso di questa scuola di Minerbe.
Il giudice Bonifazi (interpretato da un grande Ugo Tognazzi), nel film di Dino Risi In nome del popolo italiano (1970) rimproverava a un suo collega, considerato reo di avere la mano forte con i deboli e non con i potenti come l’ingegner Santenocito (Vittorio Gassman):
«[…] Lei ha chiesto l’applicazione della recidiva per il furto di un chilo di albicocche […]. Lei ha lo zelo eccessivo di chi ha scarsa indipendenza morale»
È proprio questo il punto: non riguarda solo sporadici casi locali, ma si sta espandendo in modo direttamente proporzionale all’incremento delle diseguaglianze. È come se ci fosse un accanimento nei confronti degli anelli deboli della società, verso coloro i quali non hanno la possibilità di difendersi come potrebbero farlo i ceti più agiati, a prescindere dalla provenienza. Certamente non è un problema di adesso, considerando situazioni che hanno visto negli anni scorsi scelte più che opinabili di governi precedenti verso alcune categorie svantaggiate, ma adesso si sta davvero esagerando.
Queste vergognose forme di “rieducazione” di nuclei familiari indigenti lasciamoli ad altri paesi. L’Italia non dovrebbe essere fra questi perché di umiliazioni i nostri avi ne hanno subite abbastanza e forse le subiremo ancora noi o i nostri figli. Non è una questione di umanità ad orologeria, perché sarebbe un gesto gravissimo anche se messo in atto contro un bambino italiano e, da quanto letto, ce ne sono 8 fra i 30 alunni “morosi” della scuola in cui c’è stato l’accaduto.
Quando si capirà che non è la pelle a differenziarci, ma le condizioni socio economiche (soprattutto di partenza)? Speriamo che non sarà troppo tardi.
Immaginando cosa avrebbe gridato Gian Maria Volonté, magari sdegnato di fronte a situazioni del genere, mi vengono solo in mente le parole del tenente Ottolenghi (interpretato dallo stesso maestro) in Uomini contro (1970) di Francesco Rosi:
Basta, basta, basta, con questa guerra di morti di fame contro morti di fame.
Non è un articolo incentrato sul maestro Volonté (per questo ci sarà tempo e modo), e non si intende certamente paragonare il caso Minerbe alle situazioni raccontate nei capolavori Sacco e Vanzetti o Uomini contro. Si tratta di una breve riflessione dove si vuole sottolineare come il cinema possa suscitare emozioni in grado di indirizzare verso una visione differente della vita, dal quotidiano a fatti più importanti, in cui la dignità umana e l’uguaglianza restano fra i valori più importanti da tutelare.