Sia lodato Pasolini. Il Vangelo secondo Matteo è bellezza pura
Pasqua e pasquetta a casa? Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini spinge ancora a credere nel messaggio rivoluzionario di Cristo, contro le diseguaglianze

Sia lodato Pasolini. Il Vangelo secondo Matteo è bellezza pura
Pasqua e pasquetta a casa? Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini spinge ancora a credere nel messaggio rivoluzionario di Cristo, contro le diseguaglianze

Il Vangelo secondo Matteo Pier Paolo Pasolini
Enrique Irazoqui nel ruolo di Gesù ne Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, 1964

di Francesco CariniHomo Sum

«Sulla cattedra di Mosé si sono insediati gli scribi e i farisei. Fate dunque e osservate dunque tutte le cose che vi dicono, ma non imitate le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano insieme pesi gravi e difficili a portarsi e ne caricano le spalle degli uomini, ma essi non li vogliono rimuovere neppure con un dito. Fanno tutte le loro opere per essere ammirati dagli uomini, portano filatelie molto larghe, lunghe frange ai loro mantelli, amano i primi posti nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, le riverenze nelle piazze, essere chiamati signori dagli uomini».
(Dal film e dal Vangelo secondo Matteo, 23, 1-7)

Quando penso al lungometraggio di Pasolini (girato in varie località del Sud Italia, fra cui Barile e Matera in Basilicata, rispettivamente Betlemme e Gerusalemme) mi viene subito in mente un’intervista di Leonardo Sciascia del 1985, per la trasmissione Binocolo, in cui, riferendosi agli autori e ai libri che avevano lasciato un segno nella sua formazione, affermò:

«[…] Poi c’è stato “I miserabili”, molto importante per me, perché dico che quel pò di cristianesimo che c’è in Europa, lo dobbiamo, più che alla chiesa, a Victor Hugo».

Ecco, credo che lo stesso discorso debba valere per Il Vangelo secondo Matteo (dedicato a papa Giovanni XXIII), che, oltre al parere entusiastico di Martin Scorsese, anche a detta dell’Osservatore Romano (2014), rappresenta: «forse la migliore opera su Gesù nella storia del cinema».
Prendendo in considerazione alcune sue caratteristiche, il film, che si ispira letteralmente ai dialoghi del Vangelo di san Matteo (nella versione della Pro Civitate Christiana), è percorso da una vibrante forza che vede Gesù ergersi a difensore degli strati più svantaggiati della popolazione, contro le élites rappresentate dagli scribi e dai farisei, facendo del vangelo: «un racconto epico-lirico in chiave nazionale-popolare», (nel senso gramsciano del termine, citando le parole del regista rivolte all’attore protagonista Enrique Irazoqui, da lui riportate in questa intervista del 2016).

L’opera è unica per la sua qualità, e se i dialoghi erano già pronti, il resto è stato «visualizzato» da P.P.P., restando più fedele possibile alle fonti originali e riproducendolo in modo straordinario grazie al suo talento e a collaboratori che faranno successivamente la storia del cinema. Difatti, si dovrebbe ricordare che fra gli scenografi c’era un giovanissimo Dante Ferretti, vincitore di tre premi Oscar quattro decadi dopo l’uscita del film, un montatore del calibro di Nino Baragli, una colonna sonora straordinaria ed uno fra i migliori attori del cinema e del teatro italiano, Enrico Maria Salerno che ha “prestato” la sua voce a Irazoqui (Gesù), oltre ai camei di personalità quali: Giorgio Agamben, Enzo Siciliano e Natalia Ginzburg, e ruoli come quello di Susanna Pasolini (madre del regista) che interpreta magistralmente Maria.

Il Vangelo secondo Matteo Pier Paolo Pasolini
Susanna Pasolini nel ruolo di Maria ne Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, 1964

Un aspetto che impressiona del film è il fatto che sia pervaso dal vangelo da un lato e dall’altro dalla straordinaria forza che in quegli anni percorreva parte del cinema e della cultura, che avevano l’obiettivo di risvegliare le coscienze attraverso un nuovo ruolo dell’intellettuale, considerato qualche decennio prima da Gramsci, come il tramite al Sud Italia tra il proprietario terriero e il contadino, con le seguenti funzioni e caratteristiche:

«intermediario e […] sorvegliante del capitalismo settentrionale e delle grandi banche. Il suo unico scopo è di conservare lo statu quo. Nel suo interno non esiste nessuna luce intellettuale, nessun programma, nessuna spinta a miglioramenti e progressi» (Antonio Gramsci, La questione meridionale).

Non si intende passare per blasfemo, ma il carisma con cui il Gesù di Pasolini indica la via al suo popolo e ai suoi discepoli sembra avere tratti in comune con quello di José Dolores (Evaristo Marques) in Queimada (1969, di Gillo Pontecorvo), che nel corso della ribellione contro i colonizzatori insegnò agli abitanti dell’isola (rimasti in stato di sottomissione per secoli), in particolare al giovane Josinho: «[…] È meglio sapere dove andare e non sapere come, piuttosto che sapere come andare senza sapere dove […]».

Quindi, determinate forze rivoluzionarie (nel senso positivo del termine), legate alla ricerca di libertà e giustizia, inseriscono lungometraggi quali Il Vangelo secondo Matteo non solo all’interno di capolavori a sfondo religioso e spirituale, bensì anche politico-sociale. Nella sopracitata intervista a Irazoqui, lo spagnolo racconta come il film sia diventato una sorta di vero vangelo per la Chiesa della liberazione in Sudamerica, soprattutto in Brasile. Ma, oltre alla profonda sensibilità di Pasolini per istanze sociali a favore degli ultimi (come indicato in questo articolo pubblicato su Homo Sum a novembre), riprendendo un aneddoto raccontato da Irazoqui e che vide protagonisti il produttore Alfredo Bini e lo stesso poeta, alla domanda del primo sul perché un marxista come lui volesse girare Il Vangelo secondo Matteo, il regista rispose che fino: «a quel momento aveva trovato la bellezza letteraria, la bellezza morale, ma mai la bellezza assoluta».

Non occorrerebbe neanche sottolinearlo, però ci si trova davanti a uno fra i più grandi intellettuali di tutti i tempi, capace quindi di coniugare il senso del bello, con l’abilità e la volontà di fare della cultura e del suo genio artistico non un mezzo fine a sé stesso, al contrario, capace di indicare attraverso i protagonisti delle sue opere la via per la presa di coscienza di milioni di diseredati nati in posizioni di svantaggio. Siamo di fronte ad una bellezza che trascende totalmente l’aspetto materiale.

Pier Paolo Pasolini

Con il vangelo riuscirò a realizzare una specie di sogno che hanno tutti gli autori della mia generazione, appunto delle generazioni impegnate: cioè, concretare, rendere così un fatto realizzato, vero, vivo, quella nozione di Gramsci che è nazionale-popolare.
(P.P.P., 27/05/1964)

In questi ultimi giorni, riflettendo sulle richieste di apertura delle chiese nonostante l’epidemia da Coronavirus e sulle preghiere recitate in talk show televisivi pomeridiani, mi sono venute in mente alcune pagine del libro La Festa, del prof. Natale Spineto (docente di Storia delle religioni presso l’Università degli studi di Torino). Qui si fa riferimento a come, negli ultimi decenni, i fenomeni di “secolarizzazione” abbiano investito le religioni istituzionali, determinando una contrazione del numero dei fedeli presenti durante i riti religiosi, comprese le feste. Fra queste si può annoverare naturalmente la Pasqua, con una prassi che, soprattutto in epoca non da Covid-19, porta a identificare la festività religiosa con le vacanze (legate maggiormente a svago o a riposo, piuttosto che al credo autentico, comunque presente in una parte dei credenti). Addirittura in Francia, esse indicano per gli studenti la pausa delle normali attività comprese fra aprile e maggio, spesso non coincidenti neanche con le festività religiose.

Pertanto, in un momento in cui le chiese sono chiuse e le celebrazioni sospese, gli orfani delle funzioni (o delle abbuffate in famiglia post-messa, condite non di rado dal chiacchiericcio, che di sacro non ha nulla) potrebbero riscoprire il senso del Vangelo in ben altri modi, fra cui: la lettura delle fonti originali o la visione di un capolavoro come Il Vangelo secondo Matteo, che, se visionato, dovrebbe portare a riflettere su quanto il messaggio originale sia ben diverso dalle rigide gerarchie che nei secoli si sono create ad opera di attori sociali quali: politica, Chiesa e anche intellettuali, concentrando il potere economico e politico nella mani di pochi. Le accuse lanciate da Gesù agli scribi e ai farisei (con questi ultimi che erano assimilabili a un partito politico di allora) sono sintomatiche di quanto la religione sia stata usata per ben altri scopi, rispetto al genuino messaggio iniziale:

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché mondate l’esterno della coppa e del piatto, mentre l’interno è pieno di rapine e di intemperanza. Fariseo cieco, monda prima la coppa e anche l’esterno diventerà pulito. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché rassomigliate a sepolcri imbiancati, i quali al di fuori appaiono splendidi e dentro sono pieni di ossa di morti e ogni immondezza, così all’esterno voi apparite giusti agli occhi degli uomini, ma dentro siete colmi di ipocrisia e di iniquità. (Vangelo secondo Matteo, 23, 25 – 28)

Come ha dichiarato lo stesso Pasolini il 18 maggio 1972, in un’intervista alla Rai, Il Vangelo secondo Matteo appartiene alla sua prima fase (insomma, quella di: Accattone, Mamma Roma, La Ricotta), con cui cercava di rivolgersi al popolo inteso come classe sociale differente dalla borghesia, prima di passare ad una seconda nella quale puntò a fare un cinemad’élite” come protesta alla cultura di massa (che di democratico aveva paradossalmente ben poco), in corrispondenza al cambiamento della società italiana, passata da un paleo-capitalismo agricolo o comunque artigianale ad un neo-capitalismo.

Proprio nel primo periodo, il cui Turning Point può essere considerato Uccellacci e uccellini (1965), (di cui si parlerà prossimamente con un’analisi che toccherà anche Il Vangelo secondo Matteo), si riesce a percepire non solo la vicinanza agli ultimi e ai dimenticati della società  ma anche lo sdegno nei confronti di una borghesia gretta, ipocrita e incapace o colpevole di non agire per limitare le diseguaglianze fra chi ha e chi ha poco o nulla, rappresentando quindi, nonostante il suo ateismo, un profeta, quasi un avamposto culturale e spirituale, genuinamente cristiano nel senso primitivo/puro del termine, una sorta di Cristianesimo autentico (portato in Europa secondo Leonardo Sciascia da Victor Hugo), disconnesso da Istituzioni religiose e verosimilmente legato alla comprensione del reale e dell’umanità.

Bisogna cambiarlo questo mondo fra’ Ciccillo, questo non avete capito. Un giorno, verrà un uomo dagli occhi azzurri e dirà: sappiamo che la giustizia è progressiva e sappiamo che man mano che progredisce la società, si sveglia la coscienza della sua imperfetta composizione e vengono alla luce le disuguaglianze, stridenti e imploranti che affliggono l’umanità. Non è forse quest’avvertenza, della diseguaglianza fra classe e classe, fra nazione e nazione, la più grave minaccia della pace?
(San Francesco in Uccellacci e uccellini, di P. P. Pasolini, 1966)

12/04/2020 – © Francesco Carini – tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale.

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