Acufeni, DCCM e deglutizione: l’importanza di una sinergia fra medici e odontoiatri
Fonte: blog Homo Sum di Francesco Carini – Linkiesta.it – 7/09/2016
In letteratura, sono stati presentati diversi lavori su come i disordini cranio cervico mandibolari (DCCM) possano sollecitare delle tensioni di muscoli masticatori con conseguente errato assetto posturale, influenzando direttamente: recettori visivi, uditivi, vestibolari e la colonna vertebrale (tratto cervicale in particolare). Indirettamente, per un meccanismo compensativo, vengono interessati altri apparati, conducendo a disturbi del diaframma e dell’apparato gastrointestinale con ripercussioni su: respirazione, termoregolazione, digestione e battito cardiaco.
Nonostante ipotesi contrastanti e accese discussioni in ambito scientifico con differenti visioni fra osteopatia e medicina ufficiale, il paziente viene a volte definito come ansioso, mentre potrebbero esserci affezioni di base che partono dal complesso maxillo facciale, il quale è connesso alla gabbia toracica anteriormente attraverso la catena viscerale e posteriormente tramite quella vertebrale.
Inoltre, è stato spesso verificato che, nelle persone che presentano una II classe dentale, laddove l’arcata superiore è molto avanzata rispetto a quella interiore, l’asse del corpo che va dalla nuca ai piedi risulta spostato in avanti. Viceversa, nei soggetti che mostrano l’arcata inferiore esternamente rispetto alla superiore, III classe dentale, la postura si bilancia posteriormente, influenzando anche la pelvi. Non è un caso che gli osteopati francesi chiamino la mandibola “petit bacin”, sostenendo che essa rispecchia l’eventuale asimmetria del bacino.
Per ciò che concerne il distretto testa-collo, i sintomi più frequenti dei DCCM sono: emicranie, nevralgie, dolori al collo e al rachide, ma grandissima importanza hanno acufeni e problemi vestibolari. A tal proposito, il prof. Aldo Messina, direttore dell’unità operativa di Audiologia del Policlinico Universitario di Palermo, chiarisce alcuni aspetti di un campo in cui spesso si agisce pionieristicamente.
Buongiorno dottore, quali sono le connessioni a livello patologico fra problemi gnatologici ed otoneurologia?
I rapporti tra gnatologia e patologia otoneurologica rappresentano la diretta conseguenza dell’evoluzione delle specie. Tutti ricordano i tre ossicini dell’orecchio medio mano: martello, incudine e staffa. Permettono la perfetta trasmissione delle vibrazioni sonore all’orecchio interno. Nei rettili, le ossa della mascella si inseriscono sull’osso quadrato del cranio, che, unitamente all’articolazione quadrato articolare, si evolve nei mammiferi determinando la formazione rispettivamente dell’incudine e del martello.
Il nostro orecchio medio è diretta evoluzione dell’apparato stomatognatico dei rettili e ne conserva il “ricordo neurologico”.
Sempre a livello di orecchio medio, riscontriamo un’altra sinergia tra il sistema stomatognatico e quello otoneurologico. Il movimento della catena dei tre ossicini è determinato da due muscoli, lo strapedio e il martello. Il primo è il più famoso anche se più piccolo e, pertanto, rappresenta quello che svolge lavoro minore, innervato dal nervo facciale. Il secondo gioca sulla rotazione e la gravità del sistema in funzione della frequenza dei suoni, venendo innervato dal trigemino, noto a tutti per le sue frequenti e dolorose infiammazioni. Le risposte “da stiramento” (propriocettive) dei muscoli della mandibola sono mediate dal nucleo mesencefalico proprio dal trigemino. Pertanto, lo stesso nucleo nervoso regola sia la funzione del muscolo martello dell’orecchio medio, che quella dei meccanocettori del legamento periodontale, utile alla masticazione.
In che modo i problemi gnatologici influenzano il distretto testa-collo?
La posizione della mandibola e l’occlusione sono parte integrante del sistema cranio-mandibolo-cervicale, tanto che la retroflessione del corpo aumenta l’attività del muscolo temporale, e, viceversa, la flessione anteriore aumenta l’attività del massetere e del digastrico. Il quadro viene completato – si fa per dire – dall’azione dei muscoli che utilizzano come punto d’inserzione l’osso ioide.
Però è utile ribadire che qualsiasi evento disfunzionale dell’apparato stomatognatico che determini variazioni anatomiche o funzionali dello stesso, causa anche alterazioni della voce.
I soggetti con disfonia funzionale da scarsa motilità delle corde vocali (ipocinetica) presentano: deflessione del collo, anteriorizzazione della mandibola e spostamento in avanti del baricentro di pressione del proprio asse corporeo. Inoltre, quelli con disfonia ipercinetica presentano flessione posteriore del rachide toracico, testa flessa indietro come pure del centro di pressione.
In definitiva la prima unità funzionale posturale del nostro organismo è quella costituita da cranio, mandibola e ATM, alla quale segue il primo raccordo costituito dalla regione cervicale e dalla laringe.
A questo punto, che ruolo potrebbe avere la deglutizione in disturbi legati all’area di sua competenza?
Essa influenza sia la postura, ovvero la posizione del nostro corpo rispetto allo spazio, che il movimento del tratto di colonna cervicale.
La deglutizione coinvolgere circa venti muscoli tra masticatori e linguali, non c’è nulla di più naturale che deglutire. Se invece, quando deglutiamo, abbiamo la necessità di azionare i muscoli mimici ed assumiamo la “facies” dello sforzo doloroso, vuol dire che soffriamo di deglutizione disfunzionale. Ognuno di noi deglutisce circa 150 volte al giorno per mangiare ma, fatto meno noto, anche 2000 per inghiottire saliva (cerca ogni 30 secondi di giorno e ogni minuto nel sonno). Ogni deglutizione comporta una pressione di ca. 100 g/cm² e lateralmente di ca. 2 Kg/cm² che la lingua esercita in avanti sui denti, pertanto una deglutizione atipica provoca facilmente non sono problemi occlusali, ma anche cervicali, e questi daranno origine a disturbi otoneurologici.
In particolare, quando deglutiamo, automaticamente spostiamo la cervicale in avanti. Se soffriamo di deglutizione patologica lamenteremo anche una patologia a suo carico. Eseguendo una RX cervicale evidenziamo una “verticalizzazione del rachide”. Probabilmente questo quadro radiologico è secondario ad una malattia odontostomatologica. Pertanto, non ha senso curare il quadro cervicale senza intervenire su quello stomatognatico.
Infine i disordini cranio mandibolari possono determinare alterazioni nel decorso e/o muscolari di quel tubicino che ha la funzione di pareggiare la pressione esterna con quella dell’orecchio medio: la tuba o tromba di Eustachio. In questo caso la patologia odontostomatologica determina la comparsa di acufeni ed autofonia.
A questo punto abbiamo capito che i problemi posturali, la cefalea muscolo tensiva ed i dolori al rachide rappresentano un tutt’uno con patologie otoneurologiche quali acufeni e disequilibrio, meno frequentemente vertigini.
Cosa sono precisamente gli acufeni? E come si sviluppano?
L’acufene, o tinnito, è definito come la percezione di un suono in assenza di stimolazione sonora interna ed esterna. Quindi i rumori, talvolta muscolari del nostro orecchio, non sono inquadrabili come acufeni e per questi si utilizza il termine “somato sound”, suoni del corpo. Almeno didatticamente la distinzione va fatta, anche se a mio avviso nella pratica vacilla un po’. Avviene frequentemente a tutti di sentire un sibilo all’orecchio. In realtà si parla di acufene quando questo “suono-non suono” persiste per più di cinque minuti e viene percepito più di una volta alla settimana. È un sintomo che colpisce il 10-25% della popolazione. È più frequente nei soggetti adulti ed all’orecchio sinistro. Ne soffrono però anche i bambini che non li riferiscono poiché li credono dei normali suoni.
Si distinguono, seppur per grandi linee, acufeni da:
1) deafferentazione, quindi conseguenti ad una sordità;
2) acufeni cross modali, determinati da stimolazione di una via nervosa “vicina” a quella uditiva;
3) acufeni psichiatrici, laddove l’allucinazione uditiva è ben organizzata ed inquadrabile nell’ambito di una patologia specifica di questo tipo.
Nel caso di acufeni cross modali le cause sono davvero tante, comprese le intossicazioni da metalli pesanti come mercurio, piombo (si pensi ad elementi contenuti nelle otturazioni odontostomatologiche) o da farmaci. Possono essere coinvolti i sistemi: stomatognatico, vascolare (stress ossidativo, conflitti neurovascolari), neurologico (anche su base neoplastica o da sclerosi multipla), visuo-motorio, oro-facciale o appunto cranio cervicale.
Mi preme però evidenziare che studi condotti con RM funzionale dimostrano che l’acufene in tutti i casi si manifesta, radiologicamente, nelle aree corticali. Pertanto, il sintomo, pur derivando da patologia del sistema periferico, coinvolge alla fine anche il sistema nervoso centrale.
Quando sono iniziati gli studi a riguardo, sia in Italia che all’estero? Ci sono stati i precursori?
L’acufene ha sempre incuriosito il mondo non solo medico, ma anche filosofico e letterario. Basti pensare al mito delle sirene in Omero! Sono dal 1990 con Jastreboff, si propongono i primi modelli neurofisiologici.
Lo stesso ricercatore peraltro ha proposto il primo metodo di terapia riabilitativa: la T.R.T., tinnitus retraining therapy (terapia riqualificante del tinnito). Gli italiani lo hanno seguito rapidamente, con la scuola milanese di Luca Del Bo, quella di Piacenza con Mimmo Cuda e quella di Roma con Giancarlo Cianfrone. Recentemente il modello si è diffuso in tutto il paese. Prima di Jastreboff si ricorderà Vernon, che propose i mascheratori per acufeni.
Nella sua esperienza, la DCCM ed altre sindromi vestibolari possono essere scambiate per altre patologie più o meno gravi? Faccia pure una disamina a riguardo.
Ribadisco che l’acufene è un sintomo. Il fatto che un paziente abbia gli acufeni e contemporaneamente una disfunzione cranio mandibolare non esclude che possa presentare, speriamo di no, anche una patologia neoplastica.
Il rapporto specialista-paziente acufenopatico è di tipo olistico. Sia perché il medico deve studiare l’intero organismo della persona (non escludendo l’aspetto psicosomatico), sia perché richiede “tempo pieno”.
Oltre il semplice sintomo, come si riconoscono gli acufeni e le loro cause?
Anamnesi, anamnesi ed ancora anamnesi. È fondamentale che la storia clinica del paziente sia redatta da persona competente che conosca tutte le possibili cause di acufene. Un test accettato in tutto il mondo è il THI, che può essere utile ad individuare subito la possibile influenza della sfera neuropsichiatrica sull’acufene. Questa eventualità deve indurre l’otoneurologo a proporre una consulenza specialistica.
Comunque, in base all’anamnesi si attiva un percorso diagnostico che dal punto di vista otoneurologico prevede la normale batteria di esami audiologici (audiometria, impedenzometria) e vestibolari. L’iter diagnostico può contemplare lo studio dell’apparato stomatognatico e cervicale. A seconda dei casi, l’otoneurologo può ritenere utile eseguire lo studio dei potenziali evocati uditivi (ABR) e vestibolari (VEMPs), oltre che il Video Impulse Test (VHIT) e la stabilometria con e senza svincolo occlusale. Si comprende che si tratta di una batteria otoneurologica che prevede una mentalità medica di tipo olistico.
Sempre se l’iter lo richiede, si può ricorrere alla diagnostica per immagini tramite RM del distretto cranio-cervico-mandibolare.
In aggiunta, risultano fondamentali alcuni accertamenti ematoclinici, lo studio stomatognatico con valutazione non solo dell’ATM, ma anche della presenza di eventuali otturazioni con amalgame, oltre che lo studio posturale.
Recentemente una certa importanza deve essere attribuita alla sindrome di Eagle, che si presenta con acufeni e dolore a bocca, gola e testa. Il dolore è determinato dall’indurirsi per calcificazione del legamento stiloioideo.
Infine, l’acufenometria è molto utile se si vuole attivare un percorso di cura di tipo TRT.
Come si curano?
Andare per “prova ex adiuvantibus” non deve scandalizzare, né fare subito pensare al fallimento terapeutico. Non autorizza a dire che non sappiamo cosa fare.
Il medico in questa fase deve conquistare la fiducia del paziente per non farlo cadere in una disastrosa forma di sfiducia e conseguente depressione che accenterebbe ulteriormente l’attenzione del paziente sul suo acufene, che “andrebbe a mille”. Se la terapia non dovesse dare i risultati sperati, si attiva un percorso a carattere neuropsicologico tipo T.R.T. che prevede l’associazione di terapia sonora con sussidio protesico e counseling psicologico. Anche qui un chiarimento. La finalità della T.R.T. non è quella di eliminare l’acufene, ma di farlo percepire come uno dei tanti suoni della vita quotidiana ai quali non prestiamo attenzione, come il rumore del frigo o del condizionatore. Credo comunque che il percorso che ho delineato possa essere eseguito solo in un regime di Servizio Sanitario Nazionale.
Quanti casi ha avuto modo di studiare nella sua attività al Policlinico di Palermo? Ha avuto pazienti di altre parti d’Italia?
Relativamente ai casi “indigeni” presso l’Unità di Audiologia del Policlinico di Palermo, l’ambulatorio di acufenologia ha giorni specifici e la casistica è davvero ampia. Mi telefonano o mi inviano mail da ogni parte d’Italia ma li dissuado dal venire. Per il tempo necessario e per i costi quasi proibitivi se effettuati in trasferta, molti pazienti non completerebbero l’iter, fatto che sarebbe frustrante per me e per loro. Pertanto, a chi mi chiama o mi scrive da altro territorio, mi limito a consigliare uno specialista locale.
Un bite può essere spesso la soluzione di tutti i problemi vestibolari? Oppure si deve agire su altre cause e conseguenze?
Il bite è quell’apparecchio che si applica tra le arcate dentarie per migliorare le patologie da cattiva occlusione o da bruxismo. Esso costituisce la soluzione, e neanche sempre, per un problema stomatognatico. Quando invio un mio paziente al collega odontostomatologo, gli raccomando che per gli acufeni la sua unità operativa di riferimento rimane questa da me diretta. Peraltro inizialmente, l’applicazione del bite, determinando un nuovo assetto posturale, potrebbe aggravare la sintomatologia. E non va neanche sottovalutato il fatto che non tutti gli audiolesi lamentino acufeni e lo stesso si osserva per quelli con patologia odontostomatologica.
Come interpreta la cura dei pazienti in riferimento ad un settore “border line” come il suo?
Palmer parla di triade della salute: struttura, chimica, psiche. Ognuno di noi dà prevalenza ad un fattore, un cateto, che diviene determinante per la sua salute. Il medico deve capire su quale “lato” agire. Tengo sempre a mente quanto affermava Socrate riferendosi ai medici della sua epoca, che, per curare la parte, perdono di vista il tutto, e non si avvedono che non è possibile curare gli occhi indipendentemente dalla testa, e quest’ultima dalla totalità dell’organismo.
Questo è quanto gli acufeni mi hanno insegnato.