La laurea logora chi non ce l’ha
Lo studio é il solo mezzo che permette ai cittadini di avanzare socialmente, ma la politica e buona parte dei diseredati non la ritengono una priorità

La laurea logora chi non ce l’ha
Lo studio é il solo mezzo che permette ai cittadini di avanzare socialmente, ma la politica e buona parte dei diseredati non la ritengono una priorità

laureadi Francesco Carini

Fonte: blog Homo Sum di Francesco Carini – Linkiesta.it – 22/02/2018

Una recente ricerca portata avanti dall’American academy of arts and sciences riporta che i laureati in discipline umanistiche hanno un reddito medio simile a quello delle lauree tecniche, a dispetto dei luoghi comuni che imperversano in tutto il mondo.
Negli Stati Uniti, se un diplomato percepisce di media circa 34.000 dollari, un laureato con titolo triennale sale a 52.000; mentre uno con titolo magistrale può arrivare 72.000. Si tratta sempre di statistiche, soprattutto lontane dagli stipendi medi italiani, ma ciò dovrebbe far capire quanto l’andare contro le proprie inclinazioni, inseguendo solo le stime del mercato, possa indurre in errore lo studente che si immatricola in un corso di laurea verso cui non ha interesse, solo perché c’è maggiore possibilità di trovare impiego, impresa a dir poco ardua in ogni caso.
Dall’altro lato, la situazione descritta dal rapporto di Eurofund “Occupational change and wage inequality” dello scorso giugno rappresenta lo specchio di un “iniquo” mercato del lavoro (analisi di dati raccolti fra il 2008 e il 2016) che rischia di costituire la mina vagante per la società occidentale.
Nonostante un leggero miglioramento dal 2013 in poi, quanto descritto nel report indica che l’aumento dell’occupazione fra i lavoratori meno qualificati si sia accompagnata a una riduzione dei salari e a una diminuzione dello stipendio di quelli con titoli di studio più alti, con un’importante differenza fra l’Italia e paesi come la Germania.

Nulla è più ingiusto che far parti uguali fra disuguali. Don Lorenzo Milani

Infatti, il problema non è il conseguimento di un titolo di studio, ma proprio il mercato del lavoro, divenuto sempre più precario in ogni settore, con imprenditori che hanno fatto grande uso di stagisti non retribuiti o tirocinanti con stipendi da fame, che si fanno non di rado una concorrenza spietata come i polli da batteria che si azzuffano tra di loro. Pertanto, il problema non sono i laureati (di qualsivoglia disciplina, in particolare quelle umanistiche), ma l’attuale mondo del lavoro, tanto da far di nuovo gongolare (e a ben ragione) la maggioranza degli under ’40 italiani all’idea di un impiego statale, sebbene non si parli di stipendi da nababbi. La sfiducia è una logica conseguenza di precariato e sfruttamento da doversi sorbire pur di riuscire a mettere a tavola i tre pasti giornalieri. Ma in tutto questo, in molti ambienti le frasi più in voga sono: «i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare», seguite a ruota da: «ma a che serve l’università?».

In seguito all’avanzare della crisi e ai tagli al diritto allo studio (con risorse che dal 2009 al 2015 erano scese di 134 milioni di euro, passando da 246 a 112) e nonostante un aumento parziale di iscrizioni agli atenei nell’ultimo anno, queste ultime sono sempre più difficoltose, ma non certamente tra i figli di chi gode di un reddito medio-alto, bensì fra la popolazione a basso reddito (che spesso corrisponde a quella a basso livello di scolarizzazione). Pertanto, in una situazione del genere, ci si dovrebbe aspettare una reazione da parte di questa stessa gente, che, impossibilitata ad accedere ai più alti livelli d’istruzione, dovrebbe sperare in migliori possibilità per i propri figli e/o i propri nipoti, organizzandosi (anche politicamente) per ottenerlo.

[…] Del resto, mia cara, di che si stupisce?
anche l’operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente che può venir fuori:
non c’è più morale, contessa […]

Invece no, rispetto a circa 50 anni fa, quando usciva Contessa, splendida canzone di Paolo Pietrangeli, sembra che parte dei ceti meno abbienti smonti le pretese di quelli che ancora credono nell’articolo 34 della Costituzione, andando contro chi cerca di tutelare un loro diritto, piuttosto che ragionare bene sull’evoluzione di un sistema sempre meno equo.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Pierre Bourdieu parlava di un habitus che (in poche parole e senza l’accuratezza terminologica che la teoria dello studioso francese meriterebbe) i ceti meno abbienti si portano dietro come background culturale, alla stregua di schemi costruiti anche a scuola, attraverso determinate azioni e autorità pedagogiche, le quali non fanno altro che riprodurre le disuguaglianze già preesistenti e dominanti che le “vittime” portano avanti in automatico ed inconsapevolmente.
Effettivamente, a scanso di ipotesi complottiste, quando l’operaio/a medio/a non s’infuria più contro chi non gli permette di mandare il proprio figlio all’università, ma va contro le aspirazioni del suo stesso sangue, qualche domanda ce la si dovrebbe pure porre.
Lo scorso settembre, parte dell’opinione pubblica si é scandalizzata per le dichiarazioni dell’ex ministro Fedeli al Forum Ambrosetti di Cernobbio, che ha posto in rilievo come fra le cause principali del basso numero di laureati in Italia ci sia l’azione di parte delle famiglie a basso reddito che non spingono affinché i propri ragazzi aspirino ai più alti livelli dell’istruzione. A parte le colpe ascrivibili alla politica, che ha fatto ben poco negli ultimi dieci anni affinché si invertisse questo orrendo trend, effettivamente la mancata cognizione della propria forza, in quanto cittadini con diritti e doveri, fa in modo che si acuisca la spaccatura fra chi può studiare e chi no a causa del comportamento delle stesse “vittime”. La situazione è davvero tragica e grottesca. A volte sembra di ascoltare il povero Prato, de Le basi morali di una società arretrata di Banfield, che sosteneva:

«É vero, i ricchi sono migliori. Sono più ricchi e così naturalmente sono migliori, e noi dobbiamo stare sotto di loro».

Non solo la maggior parte degli svantaggiati non crede in un futuro migliore, ma ostacola l’azione di chi cerca di aiutarli con una sfiducia impressionante e diffondendo la solita cretinata dei ragazzi choosy e bamboccioni. Questa la si dovrebbe definire “cialtronata”, dal momento che a logica il bamboccio dovrebbe essere colui il quale accetta in silenzio di essere sfruttato, aprendo una spirale di comportamenti disfunzionali e concorrenziali che portano il mercato a sottopagare giovani e meno giovani, possibilmente diplomati, perché sulla carta hanno meno pretese di chi si é molto impegnato per laurearsi o che negli anni dell’università ha imparato che i diritti non dovrebbero restare parole al vento.
Pertanto, la guerra alla laurea da parte delle classi svantaggiate e la spinta da parte di una massa di parenti e conoscenti a entrare nelle forze armate (o dell’ordine) o, in alternativa, a trovare un buon lavoro subito dopo il diploma, che in quest’ultimo caso quasi sempre non c’è a meno di non essere bene inseriti o appoggiati politicamente (è inutile negarlo), dovrebbe condurre a un paese di camerieri/e (con tutto il rispetto per questo rispettabile mestiere), assunti/e tra coloro i/le quali hanno avuto la sfortuna di non avere avuto il fisico e le prestazioni da atleta e di nascere in ambienti non benestanti; mentre le professioni più prestigiose di questo passo resteranno solo fra i membri dei nuclei familiari più abbienti.

La diseguaglianza si riversò nelle leggi; essa divenne un diritto dopo essere divenuta un fatto. Alexis de Tocqueville

Come riportato nel libro Sociologia della famiglia della professoressa Chiara Saraceno, secondo le stime dell’OCSE, l’Italia è uno dei paesi più sviluppati in cui l’origine familiare conta di più per la mobilità sociale dell’individuo. Inoltre nel 2012, la possibilità di laurearsi per il figlio di un operaio con la sola scuola dell’obbligo era otto volte più bassa rispetto al figlio di persone laureate. Sono cifre che dovrebbero fare rabbrividire e reagire civilmente per invertire una situazione quasi da ancien régime, anche se ha suscitato più indignazione l’obbligo di acquistare i sacchetti della frutta a 2 centesimi.

Pertanto, non alimentare, soffocare o smontare le aspirazioni di giovani che, attraverso lo studio e la cultura vogliono andare avanti, migliorando la propria posizione (non solo economica, perché quest’ultima è una variabile dipendente da molti fattori) e quella della propria famiglia estesa, logora non solo gli stessi ragazzi, ma anche la dignità e le possibilità future di chi lo impedisce o non appoggia quella che ad oggi, senza laurea, appare un’impresa sempre più ardua per milioni di italiani nati in famiglie a reddito e status socio-culturale medio-basso, con conseguente danno alla collettività. Come in ogni conquista sociale, l’unione fa la forza.

Alla resa dei conti, non c’è vizio che nuoccia tanto alla felicità dell’uomo come l’invidia. Cartesio

 

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