87 anni fa nasceva Gian Maria Volonté, 6 anni dopo la condanna a morte di Sacco e Vanzetti
Il 9 aprile è un giorno particolare, che accomuna due vittime della malagiustizia americana e un grande attore, simbolo dell'impegno civile e politico, che combatté attraverso il suo lavoro contro le ingiustizie
«Sì, ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato. Non ho mai versato sangue umano, io. Ho combattuto per eliminare il delitto, primo fra tutti: lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo […]».
(Gian Maria Volonté in Sacco e Vanzetti, di Giuliano Montaldo, 1971)
Il 9 aprile per molti può essere un giorno qualunque, ma per un cinefilo no, soprattutto se crede nella giustizia sociale. Non può esserlo perché il 9 aprile del 1927 sono stati condannati a morte ingiustamente Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (poi giustiziati il 23 agosto), e sei anni dopo nacque uno fra i più grandi attori di tutti i tempi: Gian Maria Volonté, che interpretò proprio Vanzetti nell’opera che rese celebre Giuliano Montaldo, il quale, insieme a cineasti quali Florestano Vancini e i fratelli Taviani, “usa un obiettivo”: «a grande profondità, capace di mettere a fuoco situazioni molto distanti nel tempo» (prendendo in prestito le parole del prof. Brunetta, tratte dal volume Il cinema italiano contemporaneo, già citate in un recente articolo su La violenza: quinto potere, di Florestano Vancini) .
Tornando a Volonté, piemontese come il suo personaggio, recitò in questo lungometraggio accanto a Riccardo Cucciolla (che si aggiudicò un Nastro d’argento e il premio per la miglior interpretazione maschile a Cannes), anch’egli bravissimo nelle vesti del pugliese Sacco, di cui resterà indelebile la lettura della lettera al figlio:
«[…] Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri, più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime, perché essi saranno i tuoi migliori amici […]». (Dalla lettera di Nicola Sacco al figlio Dante).
Anche se legato a un episodio “minore” (ma comunque connesso a dinamiche sociali preoccupanti), esattamente un anno fa mi chiesi cosa avrebbe pensato Gian Maria della scelta da parte di un sindaco veneto di lasciare una bimba a tonno e crackers per pranzo, umiliandola, solo perché i genitori non avevano potuto pagare la retta della mensa scolastica. In quell’articolo riportai che nel 1960, nello spettacolo teatrale Sacco e Vanzetti di Mino Roli e Luciano Vincenzoni, Volonté aveva invece interpretato Nicola Sacco, attorniato da un cast stellare dov’erano presenti anche Ivo Garrani, Enrico Maria Salerno e proprio Riccardo Cucciolla, impegnato nel ruolo di Celestino Madeiros, con il quale aveva già condiviso l’esperienza de I 7 fratelli cervi e che successivamente avrebbe preso parte ad altri film impegnati quali La violenza: quinto potere, Il delitto Matteotti (entrambi di Florestano Vancini) e soprattutto Antonio Gramsci – I giorni del carcere.
Quindi, parliamo di attori che optarono per un certo tipo di cinema, portando avanti attraverso il loro lavoro delle istanze politiche fondamentali per il miglioramento della società e per la presa di coscienza da parte del pubblico dei propri diritti e del recente passato del loro paese. Di conseguenza, ci troviamo di fronte a una scelta specifica e coraggiosa, di impegno civile e per alcuni versi pedagogico, fondamentale, per le generazioni cresciute con i loro film.
Ma, in una realtà in cui le diseguaglianze fra chi ha e chi non ha sono incrementate, ci sarebbe da chiedersi cosa avrebbe pensato Volonté della realtà odierna, soprattutto riflettendo sui rischi più che concreti che tale gap possa incrementare soprattutto appena l’attuale emergenza da Covid-19 sarà finita.
Nella scena del dialogo fra Katzmann e Vanzetti nello studio del procuratore Fuller, dopo essere stato incalzato, l’anarchico italiano dirà:
«[…] Mendicare la vita per un tozzo di pane è violenza. La miseria, la fame a cui sono costretti milioni di uomini è violenza […]». (Gian Maria Volonté in Sacco e Vanzetti, di Giuliano Montaldo, 1971)
Tali parole appaiono come macigni, dal momento che mettono in risalto quanto libertà e giustizia sociale debbano andare di pari passo (Pertini docet), visto che non può esistere alcuna libertà reale nello stato di indigenza e di conseguente sottomissione di miliardi di persone.
L’uomo che interpretò il tenente Ottolenghi in Uomini contro, Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli, Salvatore Laurana in A ciascuno il suo o Salvatore Carnevale in Un uomo da bruciare (solo per citare alcuni titoli), in un ambiente in cui l’informazione, più che al dovere di informare e anche di formare nel senso più nobile del termine (non a scopo elettorale), può essere piegata alle esigenze o al volere di alcuni editori (non è complottismo, ma una situazione delineata e facilmente comprensibile attraverso Sbatti il mostro in prima pagina e ancora prima con Quarto potere di Orson Welles), come avrebbe reagito davanti ad uno sciacallaggio politico in cui la salute, la paura e l’indigenza degli strati più poveri della popolazione diventano materiale su cui le mafie si possono arricchire e sul quale verosimilmente si apriranno le danze per una propaganda politica senza esclusioni di colpi e probabilmente senza vergogna?
Non abbiamo la sfera di cristallo, ma è piacevole, a tratti rassicurante, pensare che Volonté avrebbe continuato e difeso un lavoro in cui il mestiere dell’attore è stato legato alla ricerca della verità (anche storica) e all’impegno per la creazione di una società più giusta, libera ed equa, proprio la società che avrebbero voluto Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
«[…] Mai, in tutta la nostra vita, avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati».
(Gian Maria Volonté in Sacco e Vanzetti, di Giuliano Montaldo, 1971)
Non è un articolo approfondito o pienamente incentrato sulla filmografia o la vita del maestro Volonté e neanche su un fatto storico che ha visto condannare a morte due anarchici innocenti (sarebbe pretenzioso farlo per bene in un articolo, considerando la grandezza dell’artista e la gravità della vicenda che ha coinvolto Sacco e Vanzetti). Si tratta di una riflessione dove non si vuole strumentalizzare la figura di nessuno, ma che punta a ricordare due anniversari e sottolineare come un certo tipo di cinema (vedesi quello condotto da registi quali Montaldo, Rosi o Petri, con tutte le differenze stilistiche del caso) possa essere fondamentale per indirizzare verso una differente visione della vita, dal quotidiano a fatti più importanti, in cui: verità, libertà, eguaglianza e umanità (non ad orologeria) dovrebbero essere i valori più importanti da tutelare.